A Cura di Prof. Angelo Crespi
C’è una folta schiera di pittori che si sono cimentati nel dipingere automobili, soprattutto i fotorealisti americani che hanno perfezionato fino al parossismo i riflessi specchianti delle carrozzerie: si ricordi il virtuosismo del mitico Richard Estes, o le auto da corsa duplicate in modo perfetto da un altro artista cult come Ron Kleeman, e i suoi sontuosi trucks grondanti di scritte e fanalerie e cromature, o ancora Ralph Goings e i camioncini anni Cinquanta parcheggiati solitari davanti drugstore con le vecchie insegne in ferro della Pepsi Cola.
Artisti che hanno teorizzato e prodotto un tipo di pittura in tensione e contrasto e confronto con la fotografia, nel momento in cui essa esplodeva come mass media negli anni Sessanta e Settanta del Novecento.
Certo, ci sono anche esempi più recenti, tipo Enrico Ghinato, anch’egli specializzato in car art, che declina però dall’iperrealismo ad una pittura già realista e più teatrale in cui prevale la messa in scena.
A questa schiatta di grandi appartiene meritoriamente il giovane Stefano Berardino, astro nascente del genere che ne ha ampliato i confini, prediligendo una tecnica con cui le automobili dipinte ad olio o ad acrilico, in un rigoroso stile grafico, si stagliano su un fondo materico , frutto di un processo di imprimitura per cui la tela viene preparata con un composto di sabbia, talvolta impreziosito da polvere di quarzo.
Lontane, dunque, sia dalla levigata luminosità del fotorealismo sia dalla rappresentazione della pittura meramente mimetica, le opere di Berardino sembrano invece occhieggiare alla Pop Art (vedi Warhol e simili)in cui il prodotto commerciale, il brand, il logo, vengono esaltati in chiave acritica, aderendo perfettamente all’obbiettivo estetico edonistico del marketing aziendale, vero interprete del desiderio/piacere del consumatore: nel caso del giovane artista di Orta San Giulio, senza però rinunciare ad uno splendido effetto retrò eseguito a spatola, anzi introiettandolo fino a farlo diventare un vero marchio di fabbrica.
A cura di Dott.ssa Elena Gollini
Introduzione
Il promettente artista Stefano Berardino si cimenta all’interno del connubio vincente Arte e Motori ricalcando la scia di una lunga e articolata tradizione storica, che ha visto spesso unite insieme, con un solido e positivo legame sinergico, la passione artistica e quella per il mondo dei motori. Stefano ripercorre i solchi di questo rapporto stretto e li rivisita in chiave propria, con il proprio sentire e con quella componente emozionale radicata e fortificata dall’esperienza diretta sul campo, che lo porta ad acquisire competenza e autorevolezza in materia. Sceglie come soggetto prediletto dei suoi quadri la mitica Fiat 500 e altre famose macchine d’epoca, da sempre considerate dei modelli di auto versatili e accattivanti, modelli funzionali ed efficienti nelle prestazioni, ma anche dei prototipi adatti a diventare degli esemplari particolarmente gettonati e ricercati dal collezionismo a livello mondiale. La scelta ovviamente non è casuale, ma assolutamente mirata e selettiva. L’auto ricalca per lui molto più di un semplice prodotto da rappresentare e rievocare come un esercizio estetico fine a se stesso o un meccanismo commerciale. È un feedback unico e speciale che lo avvicina e lo stimola a canalizzare il suo vivace e dinamico talento creativo, spingendolo a dare vita ad un circuito pittorico sequenziale di grande pregio simbolico oltre che di ottima qualità di resa tecnica.
Arte e Motori è una chiave metaforica assai ricca di sfumature concettuali, che Stefano in modo più o meno sotteso accoglie dentro il suo personale e distintivo modus dipingendi.
Nelle immagini la narrazione rimanda ai principi portanti del Manifesto Futurista e ai suoi maestri sostenitori, per l’ideale del movimento dinamico, della velocità di spostamento che coincide con l’autonomia e l’indipendenza celebrata nelle opere tipiche del periodo futurista, dove la macchina in quanto mezzo di locomozione fondamentale e indispensabile, diventa il simbolo per antonomasia del desiderio di affrancamento dalla realtà statica e passiva, dettando e scandendo i ritmi sociali e collettivi, all’insegna di uno spirito esistenziale intraprendente e camaleontico.
Inoltre, si ravvisano degli interessanti spunti di riferimento anche con la Pop Art, movimento di grande respiro e ampie vedute, che ha dato risalto a oggetti e figurazioni tipiche del quotidiano e del ménage di vita comune e ordinaria, riproponendoli e rielaborandoli in forma al- ternativa come vere e proprie icone ad arte. La sua immagine di auto- mobile può evocare in modo allusivo tutto il comparto di modelli ad exemplum abitualmente utilizzati dalla Pop Art e può essere accostata in un confronto parallelo alle creazioni di Andy Warhol piuttosto che a quelle di Roy Lichtenstein e di altri esponenti di spicco della Pop Art, che sono entrate a fare parte dell’immaginario collettivo e hanno una valenza comunicativa sempre attuale. Si comprende come Stefano, traslando nel suo fare arte questo coacervo di influssi e tendenze, ottiene una formula espressiva di notevole impatto scenico e di intensa dimensione sostanziale. Ecco dunque che, sfruttando il senso dinamico futurista, le sue macchine si evolvono pur conservando i tratti salienti e le caratteristiche peculiari di sempre e al contempo at- tingendo dalle concezioni tipiche della Pop Art diventano esse stesse opera d’arte nella loro toccante teatralità pittorica, acquistando valore iconico e iconografico, che le rende eteree ed eterne, al di fuori del tempo e dello spazio.
Linguaggio Stilistico
Il linguaggio stilistico di Stefano è fresco e immediato come approccio visivo, fluido e scorrevole nella struttura compositiva. Lo spettatore entra subito in contatto in modo interattivo e compartecipe e si immette dentro l’impianto scenico quasi a immedesimarsi con il potenziale guidatore dell’auto immortalata, come a volerne suggerire la facile e semplice fruibilità, che nella fantasiosa rappresentazione appare davvero accessibile e alla portata di tutti. È come se Stefano esortasse l’osservatore a farla sua e a viaggiare con la mente verso mete indefinite, quasi sognando ad occhi aperti. I quadri seppur nella loro ordinata e composta pulizia narrativa sono estremamente curati nel minimo dettaglio, con un’idea progettuale a monte che non lascia mai niente alla casuale improvvisazione. Tutto viene orchestrato e concertato con massima dovizia e certosino scrupolo. Ogni fattore concorre a formare un unicum da perfezionare al meglio. Stefano sceglie colori e commistioni di sfumature garbati e sempre ben intrecciati nella varietà tonale. La tavolozza cromatica non è mai aggressiva e conquista l’occhio sensibile per la ricercata e sobria raffinatezza. Ogni opera possiede una grazia insita, che la rende delicatamente affascinante. Il tratto segnico dimostra un’indiscussa capacità nel disegno, che non è mai limitato alla mera descrizione fotografica a se stante, ma trova un profondo fermento di originalità, ricercando una visione pregna di accenti e riflessi diversicati. L’intento è quello di traslare secondo il proprio gusto e la propria predisposizione, offrendo immagini inedite e non semplicemente emulative e copiative.
La suggestione visionaria dell’automobile assume ancora più vigore nella sua completezza evocativa, attraverso la formula plastica conferita con abile e sapiente destrezza. Un plasticismo che nella sua bidimensionalità prospettica lascia emergere appieno la composizione nel suo insieme e genera varie angolature di veduta e di panoramica. Stefano si rende artefice di una pittura giovane e al passo con i tempi attuali, che si distacca e si affranca volutamente dagli stilemi figurativi più tradizionalisti e austeramente accademici e dogmatici, incamerando un modus operandi più frizzante e di libera ispirazione contemporanea, che recupera dal passato ma senza condizionamenti pedissequi. Le proporzioni bilanciate trasferiscono un senso di equilibrio e si rifanno al concetto di bello e di bellezza armoniosa. Non serve necessariamente la presenza manifesta dell’uomo sulla scena, in quanto arriva comunque la sua ingerenza. L’uomo e l’auto diventano come un tutt’uno, si fondono e assorbono, uno dall’altra, energia e carica vitale.
L’uomo sembra assente dall’impianto figurale ma non lo è mai, anzi è colui che guarda e ammira e rimane ammaliato e attratto, pregustando il momento fatidico e cruciale della guida. Stefano studia e definisce ogni passaggio virtuale, ogni fase di approccio, come ad accompagnarci nel suo amato circuito. Si percepisce tutto il trasporto e la voglia di condividerlo e di continuare a confrontarsi con chi è già nel suo mondo o desidera entrarci ex novo. L’arte di Stefano è aperta a ogni forma di dialogo. È un’arte di incontro e di relazione. Per lui il gesto creativo è come il tendere la mano e trasmettere calore umano.
Ciascun quadro nella sua atmosfera connotativa, è un anello simbolico di congiunzione verso gli altri e il mondo circostante. Per Stefano l’arte deve dare gioia e piacevolezza, deve fare confluire sentimenti positivi e fare da collante sociale. Non avrebbe senso per lui un fare artistico contorto e nebuloso e tanto meno una canalizzazione di significati strani e avulsi dalla realtà e dalla visione del reale. Tutto deve svilupparsi e compiersi in un corollario di messaggi che arrivano dritti al cuore e lo fanno palpitare forte. Proprio come il suo cuore mentre crea e mentre realizza le opere. Arte dell’anima, un’anima votata e de- vota ai motori che non si nutre di falsa e finta demagogia consumistica, ma procede con virtuoso e integerrimo orientamento. Così nasce e prende vita il suo motto trainante. E in suo nome, Stefano cammina e guarda avanti con forte impegno e seria dedizione, ben sapendo che questo percorso articolato gli riserverà ancora tante emozioni e tante occasioni sorprendenti e inaspettate.
A Cura della Dott.ssa Elena Gollini